Sangalli: "lavoro e formazione sono storia e futuro di Confcommercio"

05/05/2022

Il presidente nazionale di Confcommercio ha partecipato il 5 maggio al convegno su 'Lavoro e formazione nel terziario-Le nuove sfide per un'economia che cambia" organizzato da Confcommercio Toscana a Firenze. "I contratti collettivi sono la ragione storica dell’esistenza delle grandi associazioni d’impresa". Sangalli ha poi aggiunto: “in Italia si parla di politiche “attive” per il lavoro e, per converso, viene quasi il dubbio che alcune politiche di sostegno al reddito legate alla disoccupazione siano fin troppo passive. Le politiche del lavoro dovrebbero invece essere realmente attive, anzi “proattive”: capaci di generare mobilità e dinamismo nelle persone, nelle aziende e nel mercato del lavoro. Il carburante di questa proattività è senza dubbio la formazione, per entrare e rientrare nel mondo del lavoro”. Leggi il testo integrale del suo intervento.

Il presidente nazionale di Confcommercio Imprese per l'Italia Carlo Sangalli è stato ospite d'onore al convegno su 'Lavoro e formazione nel terziario-Le nuove sfide per un'economia che cambia" organizzato da Confcommercio Toscana a Firenze il 5 maggio 2022. Di seguito il testo integrale del suo intervento. 

 

"Buongiorno a tutti, un saluto a tutte le istituzioni presenti, in particolare al Presidente della Regione Eugenio Giani e al Sindaco di Firenze Dario Nardella. E’ un piacere ritrovarvi qui.

Grazie a Confcommercio Toscana e in particolare al Presidente Cursano, all’amico Aldo, per l’accoglienza e soprattutto per aver organizzato questo evento dedicato a due temi -lavoro e formazione- che sono centrali per Confcommercio.

Su questi temi, vorrei proporvi quindi qualche riflessione sui temi del lavoro e della formazione che sono la storia e il futuro del nostro essere rappresentanza degli interessi economici, un grande corpo intermedio del Paese.

Sono la storia: i contratti collettivi sono la ragione storica dell’esistenza delle grandi associazioni d’impresa come la nostra.

E i contratti sono lo strumento di politica sindacale che ci qualifica in modo più responsabile, autentico e determinante, nella promozione degli interessi degli imprenditori, e al tempo stesso dei collaboratori.

Guardate, cari amici sono convinto che proprio l’ampliarsi del recinto del contratto a tutte le forme di garanzia sociale e di welfare sia la vera leva di modernità.

Proprio in un momento come questo, di estrema incertezza, il fatto che i nostri collaboratori possano contare su una offerta sanitaria e previdenziale integrativa, collegata proprio al contratto, rappresenta un concreto valore di solidarietà e di sicurezza sociale.

Dicevo che il contratto rappresenta il “ponte” tra imprenditori e collaboratori.

E proprio in questi giorni abbiamo messo in campo uno strumento di previdenza integrativa per gli imprenditori e i lavoratori autonomi, con l’apertura per questi mondi -di solito “non garantiti”- del nostro Fondo Fonte, destinato come sapete ai dipendenti del terziario.

Tutti questi benefici di welfare fanno dei nostri contratti collettivi il vero discrimine rispetto a quelle forme di associazionismo – lo dico così- “senza responsabilità”, che fanno protesta, senza proposta e che come fiumi carsici riemergono nei periodi di crisi.

Il lavoro, dunque, a partire dai contratti collettivi, è alla base della nostra identità come organizzazioni, oltre che alla base della nostra democrazia come Paese (L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, art. 1 della Costituzione).

Lavoro, certo.

Ma quale lavoro, ci dobbiamo oggi sempre di più chiedere. E qui bisogna guardare al futuro.

Il Covid ha certamente cambiato le carte in tavola sul mercato del lavoro, ma ha anche fatto esplodere contraddizioni latenti che attraversavano da anni il mercato del lavoro italiano.

Penso al tema delle competenze, alla questione della produttività, al collegamento tra scuola e lavoro, tra scuola e impresa.

E qui entra in pieno il tema della formazione, che è davvero il tema “del futuro”, nel senso che è quello che “dà forma” al futuro.

Infatti, davanti al mondo che cambia a tassi crescenti, dove i mestieri antichi sono permeati di tecnologia e nuove professioni nascono senza sosta, la formazione (la formazione continua, se posso aggiungere) è l’unica strada che ci permette di non perdere il treno della crescita.

Ed è anche la via maestra dell’incremento di produttività che proprio nel nostro settore, nel terziario di mercato, si auspica da molti anni ed è diventato oggi non posticipabile.

Guardiamo agli ultimissimi dati ISTAT commentati dall’Ufficio Studi di Confcommercio.

I livelli occupazionali si stanno attestando in questi mesi sui livelli pre-Covid.

E questo avviene nonostante tutta la crescita del primo trimestre dell’anno sia ormai sfumata, la produttività del lavoro risulti (moderatamente) decrescente e nonostante un generalizzato rallentamento dell’economia.

La demografia spiega in parte questi dati sull’occupazione: se oggi l’occupazione tra i 15 e i 34 anni vale il 23,1% del totale, nel marzo del 2004 lo stesso parametro assumeva il valore del 35,3%.

Nel 2004 gli occupati con oltre 50 anni di età erano il 20,4% e oggi costituiscono il 37% di tutti i lavoratori.

Questi dati ci devono far riflettere perché il tema del tasso di popolazione “attiva” sul mercato del lavoro e il tema generale del rinnovamento delle competenze incideranno pesantemente sulla capacità dell’Italia di reagire alla crisi nei prossimi anni.

E di forza di reazione, guardate, ci sarà grande bisogno nel nostro Paese.

Pensavamo di aver passato “’a nuttata” con il Covid, tra drammi familiari, lockdown, smartworking, DAD, blocco del turismo, misure d’emergenza.

Sappiamo peraltro bene che c’è ancora da stare molto ben attenti perché abbiamo imparato, purtroppo, a conoscere questo terribile nemico insidioso.

Nondimeno, proprio pochi giorni fa abbiamo visto la fine dell’obbligo delle mascherine nei locali pubblici, che il Presidente Cursano ha definito “il vero segnale di normalità”.

Ma mentre recuperavamo un po’ di questa (pur nuova) “normalità”, la guerra entrava nel nostro continente, con tutte le drammatiche conseguenze.

Riprendo le parole di Papa Francesco nel suo ultimo libro “Il coraggio di costruire la pace”.

“Se avessimo memoria, ricorderemmo che cosa i nostri nonni e i nostri genitori ci hanno raccontato, e avvertiremmo il bisogno di pace così come i nostri polmoni hanno bisogno d’ossigeno”.

Non dobbiamo stancarci di costruire la pace.

La guerra in Ucraina ha del resto determinato-come ha detto la Banca Centrale Europea- un vero e proprio “spartiacque” per l’Europa.

E’ uno spartiacque prima di tutto politico.

Ma con un impatto economico gravissimo.

Secondo le stime del nostro Ufficio Studi -e come molti imprenditori hanno già purtroppo toccato con mano- la situazione attuale potrebbe far triplicare - nel 2022 - la bolletta energetica delle imprese del terziario di mercato.

Il minore potere d’acquisto e l’accresciuta incertezza comportano minori consumi, frenando il PIL, la cui crescita nell’anno in corso risulterebbe più vicina al 2% piuttosto che al 3%.

Il prodotto lordo tornerebbe così ai livelli pre-crisi alla fine del 2022, mentre i consumi farebbero registrare, secondo le nostre valutazioni, un altro anno di ritardo per il pieno recupero.

Ci attende, insomma, una debolezza del nostro sistema economico con la quale dobbiamo, quindi, convivere ancora a lungo.

Per sostenere le imprese bisogna agire sulle moratorie fiscale e creditizie.

Per rilanciare occupazione, redditi e consumi, è necessario mettere a terrà le riforme e gli investimenti del PNRR (penso alla missione 5 del PNRR e agli obiettivi regionali di GOL in ambito formativo); bisogna agire sul cuneo fiscale e contributivo, detassare gli aumenti dei rinnovi contrattuali.

E qui torniamo al tema da dove siamo partiti: il lavoro e il contratto.

Guardate, faccio una battuta che battuta non è: in Italia si parla di politiche “attive” per il lavoro e, per converso, viene quasi il dubbio che alcune politiche di sostegno al reddito legate alla disoccupazione siano fin troppo “passive”.

Aggiungo una riflessione sul salario minimo per legge.

La soluzione percorribile è quella di legare il salario minimo a quanto prevedono i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro delle Organizzazioni delle imprese e dei lavoratori realmente rappresentative.

Sarebbe invece sbagliata e controproducente la soluzione del salario minimo fissato per legge: sbagliata perché astratta rispetto alle dinamiche economiche di settore; controproducente perché non terrebbe conto del ruolo sempre più importante del welfare contrattuale.

Insomma, crediamo che le politiche del lavoro dovrebbero invece essere realmente attive, anzi, ancora di più, dovrebbero essere “proattive”: capaci di generare mobilità e dinamismo nelle persone, nelle aziende e nel mercato del lavoro.

Il carburante di questa proattività è senza dubbio la formazione, per entrare e rientrare nel mondo del lavoro.

L’approdo di politiche del lavoro attive e capaci di incidere durevolmente sullo sviluppo del Paese dovrebbero essere strumenti condivisi e garantiti, come i contratti delle organizzazioni più rappresentative. Solo così nel mercato del lavoro si può rimanere a lungo e con soddisfazione.

Il nostro compito è anche quello di far passare questi messaggi alle istituzioni, alle imprese, al Paese.

In un momento storico che ancora e nuovamente rivolge l’attenzione e l’informazione all’urgente (la pandemia, la guerra), il nostro compito è anche quello di accendere la luce sull’importante.

E per un Paese libero, democratico e moderno è francamente difficile trovare argomenti più importanti di quelli che affrontiamo oggi.

Per questo vi ringrazio ancora di cuore per l’attenzione e la capacità di guardare oltre la nebbia del presente verso un futuro, molto prossimo, che ha bisogno di lavoro, di buon lavoro, e di associazioni, di buone associazioni, come la nostra, che lo sappiano rappresentare.

Grazie a tutti"