Toscana, il piccolo commercio ancora determinante
14/04/2023
Presentata l’indagine Irpet sulle attività distributive al dettaglio, 28mila per oltre 33mila unità locali. L’assessore regionale all’economia Leonardo Marras: “la Toscana resta una delle regioni con il più alto numero di negozi di vicinato e dove quindi prevale la dimensione relazionale”. Il direttore di Irpet Nicola Sciclone: “il settore incide sull’economia regionale per il 9% in termini di addetti e di imprese e per il 10% in termini di fatturato e contribuisce a mantenere e rafforzare il tessuto economico-sociale di tante realtà grazie alla sua presenza diffusa e capillare”. Il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni: «dati preziosi che ci danno gli estremi per intervenire con la Regione sulle strategie del futuro. Il tema della digitalizzazione non può essere trascurato e l'aggregazione delle imprese è l’unica risposta per restare competitivi».
28mila imprese e oltre 33mila unità locali: il commercio al dettaglio in Toscana, nonostante la diffusione dei grandi formati, è fatto soprattutto di imprese piccole e piccolissime, il 66% delle quali operano nel settore non alimentare e, di queste, il 25% sono negozi di abbigliamento, l’8% cartolerie, il 6% calzature e ferramenta. Gli esercizi alimentari sono circa un quarto del totale: il 26% di questi vende prodotti legati al tabacco, il 17% sono macellerie e il 12% negozi di ortofrutta. I non specializzati sono poco meno del 10% del totale. In termini di addetti copre tutta la regione e si concentra nelle principali aree urbane e in quelle a maggior vocazione turistica dove, sebbene la presenza della GDO sia consistente, il piccolo commercio prevale per sfruttare la stagionalità dei flussi.
È questa l’istantanea del sistema distributivo in Toscana, scattata da Irpet e presentata il 13 aprile 2023 a Firenze nella sede della Regione Toscana, Palazzo Strozzi Sacrati. Un rapporto che sottolinea ancora la grande forza della piccola e piccolissima impresa, dell’importanza di queste realtà per il tessuto economico e sociale di tanti centri. E che individua anche le sfide per il futuro, a partire dall’affermazione del commercio digitale fino alla necessità di fare rete ed unirsi per riuscire a restare competitivi.
“Negli ultimi 10 anni il commercio al dettaglio ha subito profonde trasformazioni – ha detto l’assessore all’economia Leonardo Marras - Sono arrivate le grandi catene e prevale l’idea di un commercio legato alle grandi superfici di vendita, anche se in realtà la Toscana resta una delle regioni con il più alto numero di negozi di vicinato e dove quindi la dimensione relazionale costituisce un punto di forza. I numeri parlano chiaro: dal 2007 al 2019 le imprese complessivamente sono calate del 17% e nelle aree interne addirittura del 25%. In calo anche addetti e salari. Insomma, luci ed ombre, ma in generale un sistema che ha saputo reggere agli urti più rilevanti, come la pandemia”.
L’avvento del commercio online è stato un fattore determinante. “Il settore ha saputo sfruttarne le potenzialità – ha aggiunto Marras – questo ha permesso di aumentare l’offerta di servizi e può diventare una chiave di volta per trovare nuovi spazi sul mercato”.
Grande distribuzione contro piccola e piccolissima impresa. “Il dominio dei grandi centri commerciali – ha concluso l’assessore - è stato frenato anzitutto con la fissazione di un limite di legge alla superficie, scoraggiando nuovi investimenti. Ma anche l’offerta, in questi grandi centri, si è trasformata: si assiste all’integrazione con forme di intrattenimento, ristorazione e altri tipi di servizi. Anche in queste realtà è diventato importante l’elemento relazionale, il rapporto con la produzione locale, la qualità dei prodotti”.
“Il commercio è un settore rilevante per l’economia toscana – ha commentato il direttore di Irpet, Nicola Sciclone - che rappresenta il 10% del fatturato regionale, che pesa per il 9% in termini di addetti, per l’8% sul monte salari e che soprattutto contribuisce a mantenere e rafforzare il tessuto economico-sociale di tante realtà grazie alla sua presenza diffusa e capillare. Il piccolo esercizio diffuso sul territorio, in molti casi strettamente collegato ai flussi turistici, svolge una funzione sociale determinante. Nel corso degli ultimi anni il commercio ha subito trasformazioni importanti: è cresciuto in termini di dimensione grazie alla GDO e ha dovuto affrontare sfide sotto il profilo delle innovazioni digitali e processi di agglomerazione per intercettare meglio la domanda”.
“L’indagine di Irpet ci offre dati preziosi che ci danno gli estremi per intervenire con la Regione sulle strategie migliori per costruire il futuro delle imprese commerciali – ha osservato nel corso della conferenza stampa il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni – ci sono molte sfide da cogliere, prime fra tutte quelle della digitalizzazione e dell’aggregazione delle imprese, unica risposta per restare competitivi su un mercato molto aggressivo. Confcommercio sta mettendo a punto in varie realtà, come Firenze, alcuni progetti di riqualificazione urbana che rimettono al centro proprio il sistema distributivo, a cui le nuove tecnologie possono attribuire funzioni più moderne e attrattive al servizio di residenti e turisti. A patto, però di intervenire anche sulla formazione degli addetti, che necessitano di nuovi contenuti professionali e competenze specifiche”.
Commercio, la situazione in Toscana secondo il rapporto Irpet
Articolazione, diffusione, rilevanza per il sistema economico regionale. Sono gli elementi che caratterizzano il commercio al dettaglio in Toscana e che derivano dall’importanza del turismo e dall’esistenza di molti centri urbani anche di piccole dimensioni. Un settore tuttavia vulnerabile (maggioranza delle imprese piccole o piccolissime, basso valore aggiunto sul fatturato, bassi stipendi), alle prese con fenomeni di concentrazione territoriale dovuti da un lato al consolidamento della presenza dei grandi spazi commerciali, alimentari e non, nelle aree maggiormente urbanizzate della regione, dall’altro alla progressiva contrazione della presenza commerciale nelle aree periferiche e alla maggiore diffusione di formati piccoli e medi nei principali centri urbani. Ma, al tempo stesso, capace di attutire meglio di altri settori l’impatto della pandemia, ampliando i canali di vendita e prevedendo una riorganizzazione dei processi e degli spazi di lavoro.
28mila imprese e oltre 33mila unità locali: il commercio in Toscana, nonostante la diffusione dei grandi formati, è fatto soprattutto di imprese piccole e piccolissime, il 66% delle quali operano nel settore non alimentare e, di queste, il 25% sono negozi di abbigliamento, l’8% cartolerie, il 6% calzature e ferramenta. Gli esercizi alimentari sono circa un quarto del totale: il 26% di questi vende prodotti legati al tabacco, il 17% sono macellerie e il 12% negozi di ortofrutta. I non specializzati sono poco meno del 10% del totale. In termini di addetti copre tutta la regione e si concentra nelle principali aree urbane ed in quelle a maggior vocazione turistica dove, sebbene la presenza della GDO sia consistente, il piccolo commercio prevale per sfruttare la stagionalità dei flussi.
Nelle città oltre alla quantità di esercizi commerciali diventa importante anche la loro qualità, per la presenza di consumatori in grado di sostenere mediamente un livello di spesa più alto. Situazione opposta nelle aree industriali, dove i piccoli negozi sono più rari in quanto poco attrattive per i turisti e nelle quali la presenza di realtà più grandi è più marcata. Maggiori le difficoltà nelle arre interne appenniniche a causa della riduzione demografica.
Il commercio al dettaglio incide sull’economia regionale per il 9% in termini di addetti e di imprese e per il 10% in termini di fatturato. Il valore aggiunto sul totale del fatturato è del 19% e viene mediamente destinato per il 42% al pagamento di salari e stipendi. Il commercio al dettaglio alimentare ha il più basso valore aggiunto per addetto ed i salari più bassi per lavoratore dipendente.
I lavoratori indipendenti sono il 36% e due terzi degli occupati nel commercio al dettaglio è di genere femminile. Sono i giovani (il 34% ha tra i 15 e i 29 anni) e gli over 50 (34%) ad essere i maggiori impiegati nel settore e prevalgono gli italiani (87%). Un dipendente su 3 ha un titolo della scuola secondaria di I grado, il 47% è diplomato. Lo stipendio medio annuo è circa 22mila euro, -14% rispetto a quello medio calcolato sul complesso dell’economia e -25% rispetto alla manifattura. Nel commercio alimentare il salario medio supera di poco i 17mila euro annui, nella GDO e nel commercio non alimentare supera i 22mila euro.
Nel confronto con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto la Toscana ha la quota più alta di addetti nel commercio (ingrosso e dettaglio), il 19,9%. Il contributo al valore aggiunto più alto è della Lombardia 18,5% (Toscana 16,8%). In Toscana ogni 1000 residenti ci sono circa 36 addetti al commercio al dettaglio, dato superiore alla media nazionale e alle altre tre regioni. Toscana prima per strutture di piccole dimensioni (meno di 50mq) e ultima per quelle molto grandi (oltre i 5000mq). Ultima anche per numero di minimercati e supermercati, per superficie di vendita totale, per numero e superficie di vendita per 1000 abitanti. Lo stesso dicasi per gli ipermercati. Situazione opposta invece per i grandi magazzini (non solo generi alimentari), dove è inferiore solo alla Lombardia.
Dal 2007 al 2019 le imprese del settore sono diminuite del 17%, molto più degli addetti (-4%). Motivo principale della differenza è la comparsa e la rapida diffusione, a partire dal decennio 1990-2000 e prima decade 2000, dei centri commerciali (accompagnata da un aumento della dimensione media degli esercizi), strutture che diventano anche luogo di intrattenimento, integrando l'offerta commerciale con servizi ed attività complementari (punti di ristorazione, artigianato di servizio, agenzie ecc.). Gli esercizi più piccoli (fino a 2 addetti), pur continuando a rappresentare tre quarti delle unità del settore, diminuiscono di 6.000 unità (-19,4%), così come quelli da 3 a 5 addetti (-16,2%). Crescono invece quelli tra i 20 e i 50 addetti (+26,8%) e le strutture più grandi, tra i 50 e i 250 addetti (+24,8%). Calano quelle molto grandi, superiori ai 250 addetti.
Le province col numero più alto di unità locali per abitante sono Grosseto e Livorno, seguono Siena, Massa Carrara, Lucca e Arezzo. In generale dalle 11 attività/1000 abitanti del 2007 si passa alle 9 del 2019. Le uniche province dove, nello stesso periodo, è aumentato il numero di addetti sono Firenze e Prato mentre in tutte è cresciuta la dimensione media aziendale. In termini di presenza di servizi commerciali in rapporto alla popolazione, le aree più turistiche, i sistemi agrituristici e quelli della costa hanno la maggior diffusione. Sempre nel periodo 2007-19 nelle aree interne le imprese diminuiscono del 25% (e -14% di addetti), nei sistemi agrituristici e in quelli balneari del 19%: qui la diminuzione più contenuta degli addetti indica non solo una minore diffusione di questo settore ma anche una maggiore presenza dei formati più grandi. Nelle aree urbane, con la diffusione dei formati di dimensioni maggiori, la perdita di unità locali è accompagnata da una sostanziale tenuta dei livelli occupazionali.
È il piccolo commercio alimentare, nel periodo 2007-19, a subire le maggiori perdite, in termini di addetti e di unità locali, rispettivamente -18% e -14%. Segno opposto per la GDO: +30% di unità locali, +10,3% addetti. Le aree interne, nel periodo di riferimento, sono quelle che hanno subito la contrazione più consistente (in linea con il trend della popolazione): -25% di unità locali e -14% di addetti con leggero aumento delle dimensioni medie degli esercizi. Riduzione anche per aree rurali e costa, parzialmente controbilanciata dalle nuove aperture della GDO. Nelle città aumenta la GDO a danno del piccolo commercio, alimentare e non.
Analizzando la dinamica riferita al periodo pandemico, attraverso i dati su iscrizioni e cancellazioni al Registro delle Imprese, nel periodo 2019-21 le imprese sono diminuite del 5%, gli addetti nel commercio al dettaglio del 2,5%. La perdita maggiore nelle città, -5,7%. Dinamica opposta nelle aree interne, addetti +3,3% e nei sistemi balneari, +2,3%.
L’indagine Irpet stima, infine, l’impatto dell’aumento dei costi energetici sul settore, ipotizzando in media per ogni impresa un incremento di circa 16mila euro (54mila nel caso di quelle manifatturiere), per quelle del commercio al dettaglio la somma si abbassa a quasi 14mila euro, mettendo in questo modo a rischio il 5% delle imprese totali (circa 2000).