Sciopero fiscale per 50mila imprese toscane

20/11/2020

La presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini ha scritto al presidente della confederazione nazionale del terziario Carlo Sangalli per comunicare che 50mila imprese toscane non pagheranno più tasse e imposte. Una forma di protesta alla quale la categoria si sente costretta “per mille validissimi motivi, ultimo dei quali uno che supera e comprende tutti gli altri: le nostre aziende non hanno più risorse e preferiamo continuare a pagare prioritariamente dipendenti e fornitori rispetto ad uno Stato che non comprende, anzi calpesta, le nostre ragioni di esistere”.

Gli imprenditori del terziario verso lo sciopero fiscale. La presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini ha scritto al presidente della confederazione nazionale del terziario Carlo Sangalli per comunicare che 50mila imprese toscane non pagheranno più tasse e imposte. Una forma di protesta, quella dello sciopero fiscale, alla quale la categoria si sente costretta “per gli stessi motivi per i quali vi fecero ricorso in altre epoche il Mahatma Gandhi o i padri costituenti degli Stati Uniti d’America o il popolo francese durante la Rivoluzione. Per mille validissimi motivi, ultimo dei quali uno che supera e comprende tutti gli altri: le nostre aziende non hanno più risorse e preferiamo continuare a pagare prioritariamente dipendenti e fornitori rispetto ad uno Stato che non comprende, anzi calpesta, le nostre ragioni di esistere”, spiega la presidente Anna Lapini.

 

Nulla a che fare con l’evasione o l’elusione fiscale, dunque – fenomeni che l’associazione di categoria condanna – ma una ribellione pacifica e silenziosa contro un sistema statale che continua a trattare le imprese e i professionisti come “bancomat”, senza tutela né rispetto.  Soprattutto, senza riconoscerne l’importanza: prima dell’era Covid, solo in Toscana le imprese di commercio, turismo e servizi (214mila sul totale di oltre 410mila) garantivano il 75% del Pil (77 miliardi di euro) e il 64% dell’occupazione con 718mila lavoratori impiegati (dati Format Research per Confcommercio Toscana). In dieci anni, dal 2010 al 2019, erano cresciute nel complesso del +4%, contro le performance negative di agricoltura e industria. Poi, nel 2020, il brusco stop imposto dalla pandemia, che già ha portato i consumi indietro di trenta anni (in Toscana si sono perduti 2.700 euro a testa, secondo le stime Confcommercio) e che ora rischia di compromettere l’esistenza di un intero sistema imprenditoriale.

 

“Le nostre aziende sono attonite, atterrite e disorientate da una situazione mai vista prima, che sta producendo effetti disastrosi ben al di là di ogni peggiore previsione”, afferma Anna Lapini, “noi che abbiamo chiesto sempre e soltanto di poter lavorare al servizio dei nostri clienti e delle nostre città, ci troviamo oggi nell’impossibilità di farlo per motivi non certo imputabili a nostre responsabilità. Ma mentre ci è di fatto impedito, per legge, di lavorare e quindi di fatturare e di incassare, chi ci governa non si è preoccupato di fermare i costi delle nostre aziende, che invece continuano a correre”.

 

La situazione ha evidenti risvolti paradossali: “mentre ci si prospettano “ristori” spesso irrisori, non si è ritenuto neanche di concederci la sospensione della contribuzione fiscale, non considerando che non lavorando, e quindi non incassando, non abbiamo risorse per far fronte a questi impegni”. Ma non è finita qui: “in base a criteri che ci appaiono incomprensibili, il sacrificio che ci viene chiesto ricade sulle spalle di alcuni e non di tutti. Col rischio di vanificare il sacrificio e, soprattutto, di spostare arbitrariamente i consumi da un settore all’altro. Perché è evidente che se un negozio di abbigliamento o di articoli per la casa non potrà stare aperto in questo periodo, gli acquisti di Natale saranno concentrati su altri settori ai quali invece è concesso di lavorare. È mai possibile che, solo per fare alcuni esempi, i centri commerciali e la grande distribuzione possano trattare la vendita di prodotti che a noi non è consentito vendere, i commercianti su aree pubbliche non siano autorizzati a vendere, per esempio, fiori o calzature per bambini, mentre invece lo sia concesso alle analoghe attività a posto fisso?”.

 

Una disparità di trattamento che causa incredulità, rabbia e sconforto. “Per questo, al di là del prezioso lavoro svolto dalla Confcommercio nazionale per rappresentare le nostre istanze al governo, che pare però non esserne troppo interessato, abbiamo deciso di alzare la voce e fare di tutto per impedire il progetto di liquidazione di un intero settore economico, quello del commercio al dettaglio. Ci batteremo fino all’ultimo per la sopravvivenza delle nostre attività e di quel pezzo importante del sistema che noi rappresentiamo, senza il quale siamo convinti che il nostro paese sarebbe peggiore”, conclude la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini.